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Per Aspera Ad Veritatem n.26
Azione di contrasto al terrorismo e questioni del coordinamento.

Con interventi di: Vittorio GREVI, Antonio MANGANELLI, Alfredo MANTOVANO, Guido PAPALIA



L'attenzione nei confronti dei fenomeni di terrorismo è consistentemente cresciuta negli ultimi anni. Sul versante interno, per il riproporsi della minaccia di matrice brigatista. Su quello internazionale, per la necessità di prevenire sul territorio nazionale episodi che, a partire dall'undici settembre 2001, potrebbero coinvolgere il nostro Paese sotto forma di attentati di formazioni islamiche radicali. Limitando per ora l'analisi all'eversione di carattere interno, quali valutazioni sentite di offrire ai nostri Lettori sulla portata attuale della minaccia terroristica e sulla recrudescenza del fenomeno brigatista in Italia?

Mantovano - Circoscrivendo la risposta ai fenomeni terroristici più presenti nel contesto italiano, credo che ci sia una precisa ideologia, e prima ancora una vera e propria visione del mondo, che caratterizza e accomuna le strutture terroristiche di matrice comunista presenti da decenni nel nostro Paese: i loro appartenenti sono dei rivoluzionari di professione - per riprendere la formula coniata da Lenin -, e per questo sono convinti che migliorare la realtà, in sé cattiva, presuppone la necessità di annientarla; solo così se ne potrà ricreare una nuova, finalmente perfetta. L'operazione di annientamento viene indicata da chi la persegue col termine di rivoluzione: essa prepara l'avvento dello stato socialista ed è destinata ad auto-eliminarsi per lasciare spazio ad un mondo perfetto, che non avrà bisogno di gerarchie e di regole.
È superfluo ricordare che gli esperimenti storici che hanno tentato di dare seguito a questa ideologia hanno moltiplicato i casi di distruzione violenta dello status quo e la realizzazione di stati socialcomunisti, nutriti con il sangue di milioni di vittime, senza aver mai mostrato la felice fase successiva, che nessuno finora ha visto.

Papalia - In effetti, la minaccia terroristica in Italia non è mai cessata. In particolare il terrorismo brigatista, dopo i gravi colpi subiti nei primi anni '80, grazie al diffondersi della dissociazione all'interno di tutta l'organizzazione delle Brigate Rosse a seguito della liberazione del generale Dozier nel gennaio 1982, pur trovandosi in una situazione di sbando tale da costringere i militanti a dichiararsi in "ritirata strategica", ha continuato, anche negli anni successivi, a produrre documenti e ad alimentare con accesi dibattiti il portato ideologico del gruppo.
Tale continuità è stata assicurata dagli irriducibili in carcere e da piccole frange di militanti in attività che, pur essendo dotate di scarsi mezzi, si sono rese visibili con gravi fatti delittuosi posti in essere secondo la metodologia e la tradizione del terrorismo brigatista (tra i più gravi, omicidio Tarantelli nel 1985, omicidio Conti nel 1986, omicidio Giorgieri nel 1987 e omicidio Ruffilli nel 1988).
Dopo un lungo periodo di silenzio, la sigla BR p.c.c. è riapparsa nuovamente in un documento di rivendicazione dell'attentato alla base USAF di Aviano del 2 settembre 1993 e - in attuazione di quanto preannunciato in un documento inviato via e-mail alla redazione del quotidiano "La Repubblica" il 24 marzo 1999 assieme all'altra organizzazione terroristica denominata N.T.A. circa "il prossimo dispiegamento dell'offensiva rivoluzionaria denominata primavera rossa" - nel documento di rivendicazione dell'omicidio D'Antona del 20 maggio 1999 nonché, circa tre anni dopo, nel documento di rivendicazione dell'omicidio Biagi del 20 marzo 2002.
Nello scorso mese di marzo 2003 ad Arezzo è stato intercettato un (o il) gruppo di fuoco di questa organizzazione terroristica ancora in attività.

Manganelli - Gli omicidi del prof. D'Antona e del prof Biagi hanno aperto una nuova fase della storia delle Brigate Rosse, nonostante alcuni brigatisti "storici" abbiano, anche di recente, pubblicamente definito velleitaria e priva di qualsiasi prospettiva l'esperienza della lotta armata, non essendo più attuali le ragioni che la determinarono.
I recenti attentati terroristici sembrano far riemergere i programmi della "vecchia" ala militarista delle Brigate Rosse, il cui impianto strategico viene ora riproposto nella sua interezza.
Le connessioni con l'eversione degli anni '70 si rivelano evidenti, se solo si pensa all'influenza che gli "irriducibili" ancora in carcere esercitano sui nuovi militanti e alla recente, copiosa produzione documentale, caratterizzata da ampie analogie con quella degli "anni di piombo".

Grevi - La mia opinione è che in questo momento storico non possa profilarsi in Italia una minaccia terroristica assimilabile a quella che abbiamo conosciuto negli anni settanta ed ottanta del secolo ormai trascorso, culminata nel terribile quinquennio 1977-82. Anche perché, per fortuna, molto diverse sono le condizioni del quadro politico-sociale in cui viviamo.
Tuttavia, pur prescindendo dalla breve stagione del terrorismo di matrice mafiosa di dieci anni fa (con gli attentati di Firenze, di Milano e di Roma nella primavera-estate del 1993, senza dubbio peculiari, ma anche emblematici di certe possibili "alleanze" ai danni delle istituzioni), anch'io ritengo che non manchino anche oggi fondati elementi di preoccupazione. E, del resto, non occorrono troppi sforzi di memoria per ricordarsi dei tre più recenti episodi di classico stile terroristico che, sebbene isolati nell'arco degli ultimi anni (alludo, naturalmente agli assassini del prof. Massimo D'Antona, a Roma nel 1999, e del prof. Marco Biagi, a Bologna nel 2002, nonché alla più recente uccisione, nei pressi di Arezzo, del sottufficiale Emanuele Petri, in servizio di polizia ferroviaria), non possono assolutamente essere sottovalutati: tanto più che, evidentemente, essi presuppongono l'esistenza di ben definite strutture di supporto per i gruppi di fuoco ancora operativi, che si richiamano all'esperienza delle Brigate Rosse. D'altro canto, non possono nemmeno essere sottovalutate le manifestazioni di consenso, le rivendicazioni ed i proclami di solidarietà per queste azioni sanguinarie che sono stati espressi da parte di diversi terroristi irriducibili detenuti, i quali continuano ad alimentare, come si diceva, dentro e fuori le mura carcerarie, il mito dell'attacco armato contro gli organi dello Stato.

Papalia - Vorrei ricordare che la costante presenza del terrorismo brigatista in Italia, peraltro, non è dimostrata solo dagli atti delittuosi sopra menzionati, ma anche dall'attività, particolarmente rilevante per la copiosa documentazione prodotta, di altre organizzazioni che alla stessa ideologia brigatista si richiamano e che si firmano con le sigle N.T.A., N.I.P.R., N.P.R..

Manganelli - Condivido. Aggiungerei anche che nelle loro rivendicazioni i brigatisti rilanciano l'offensiva rivoluzionaria dichiarando di voler "colpire il cuore dello Stato" e "costruire il Fronte Combattente Antimperialista", riappropriandosi così dell'esperienza propria dei "padri fondatori", testimoni della più intransigente ortodossia dell'organizzazione.
Recenti sviluppi processuali sembrano peraltro confermare il ruolo attivo di alcuni brigatisti "storici" nella predisposizione dei documenti di rivendicazione dell'omicidio D'Antona e, probabilmente, anche degli scritti con cui le Brigate Rosse si assumono la paternità dell'omicidio Biagi.
L'analisi delle rivendicazioni brigatiste e degli scritti provenienti dal circuito carcerario, più volte prodotti in sede dibattimentale, consente di delineare le direttive strategiche.
I brigatisti affermano esplicitamente che l'iniziativa armata, intesa come "guerra di lunga durata", deve tendere a "disarticolare l'equilibrio politico dominante". Ciò significa attaccare sia le figure istituzionali che mediano nei conflitti sociali del mondo economico ed occupazionale, sia i promotori delle riforme, specie in relazione alla nuova ripartizione dei poteri tra Stato ed Enti locali.

Papalia - Dall'esame della documentazione prodotta da queste organizzazioni e dal collegamento con quella a firma BR p.c.c., si può senz'altro affermare che tutte queste "organizzazioni comuniste combattenti", come loro stesse si definiscono, sono tra loro collegate in un unico schieramento posto sotto la guida delle BR p.c.c., e si trovano da tempo in una fase di acceso dibattito interno finalizzato, in primo luogo, alla ricerca dell'azione più efficace per ottenere consenso all'interno dell'area antagonista ed aumentare la propria consistenza numerica per portare avanti in maniera più efficace la strategia della lotta armata da loro professata.

Mantovano - Vorrei riprendere l'opinione del prof. Grevi, che condivido, per sostenere a mia volta che è difficile che si riproponga un fenomeno come quello degli anni di piombo. Non può tuttavia escludersi che una propaganda martellante contro gli assetti istituzionali definiti dalle ultime elezioni possa concorrere a far emergere germi pericolosi, che si accompagnano alla più precisa individuazione dei "nemici di classe". Per quanto tali affermazioni suscitino ostilità, l'esamine sereno della realtà ne fa riconoscere la fondatezza: se nella sinistra la forza prevalente non ha connotazioni ideologiche precise, sì da essere stato definito come una sorta di "partito radicale di massa", portatore di pensiero debole, possono esservi delle frange che, partendo da una weltanschauung sostanzialmente simile, danno una lettura apocalittica della situazione attuale e ritengono accettabili, e anzi opportuni, interventi violenti, se non di tipo paramilitare.
Esistono comunque delle differenze sostanziali rispetto al passato: il "sottobosco" di consenso al terrorismo di matrice marxista-leninista, che in altri tempi era presente e determinante, è oggi meno ampio (anche se sarebbe utile approfondire la galassia delle posizioni e dei gruppi eco-terroristici); sia pure in modo indiretto, influisce il mutato assetto planetario, essendo venuto meno il condizionamento ideologico-militare del blocco sovietico.

Papalia - Alla luce della mia esperienza, ritengo di poter dire che il terrorismo brigatista, pur essendosi manifestato e reso visibile negli ultimi anni con gravissimi fatti delittuosi, continua a trovarsi in questo momento in una situazione di difficoltà enorme in tutte le sue varie componenti. Gli stessi brigatisti nei loro documenti ammettono di trovarsi ancora nella fase di "ritirata strategica".
Nonostante il grande sforzo compiuto con il tentativo di sfruttare a proprio vantaggio i più delicati momenti di tensione sociale (guerra nei Balcani, conflitti nel mondo del lavoro, ecc.), i gruppi terroristici sopra indicati non sono riusciti nel loro scopo di "fare proselitismo" e, come dimostra anche il riferimento contenuto nell'ultimo documento a firma N.T.A. del gennaio 2003 "agli attentati recenti di compagni toscani e sardi fino a quelli contro la Questura di Genova", sono alla disperata ricerca di consenso nelle aree che sono da loro ritenute contigue cercando di sfruttare a loro vantaggio i motivi di protesta e "agganciare" alla scelta della lotta armata almeno una parte di queste frange protestatarie.

Manganelli - Tuttavia, nella relazione al Parlamento dello scorso 5 marzo, all'indomani della tragica sparatoria di Arezzo, il Ministro dell'Interno ha definito "concreta e attuale" la minaccia terroristica.
Analizzando il tentativo dei brigatisti di favorire il processo di aggregazione delle forze rivoluzionarie, l'Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza ha inteso richiamare l'attenzione del Parlamento anche sui pericoli che derivano dagli episodi emulativi e di "propaganda armata", affermando altresì l'esigenza di una ferma condanna di quelle diffuse forme di "illegalità politica" e di istigazione alla commissione di comportamenti illeciti, che costituiscono un'aperta sfida all'autorità dello Stato e determinano sconcerto, disagio e insicurezza tra la gente.
D'altra parte, l'esperienza ci consente di affermare che l'adesione alla lotta armata non scaturisce da una scelta improvvisa ed estemporanea, ma rappresenta l'ultimo stadio di complessi percorsi di vita, sovente costellati dal compimento di azioni illegali sempre più gravi e da militanze politiche vissute come palestra di illegalità e di violenza.
Preoccupa, infine, che la legittima manifestazione del dissenso offra sempre più spesso l'occasione di teorizzare la necessità di una risposta non violenta ma certamente non pacifìca contro le supposte politiche repressive dello Stato, obiettivamente alimentando il rischio di nuovi, più gravi scenari terroristici.
La minaccia, dunque, è assai concreta ed esige perciò il massimo sforzo, della società civile oltre che delle Istituzioni, per poterla adeguatamente affrontare, non solo sul piano "militare" - colpendola con la forza della legge - ma anche con un'azione corale di rifiuto della violenza in ogni sua espressione.

Grevi - Alla luce di questa situazione riterrei, tra l'altro, quanto mai pericolosa (anche per l'evidente messaggio diseducativo nei confronti di certi ambienti giovanili, potenziali bacini di coltura di nuove tentazioni eversive) l'ipotesi, di tanto in tanto riemergente, di un provvedimento di amnistia esteso anche ai responsabili dei più gravi fatti terroristici del passato. Mentre, sull'opposto versante, mi parrebbe carica di un suo preciso significato positivo, in chiave di ripristino della legalità, la prospettiva, forse non irrealistica, di una estradizione dalla Francia o da altri Paesi vicini (o perfino la prospettiva di una più agevole consegna, come potrebbe accadere dal 2004, per effetto della nuova disciplina relativa al mandato d'arresto europeo) di alcuni condannati per delitti terroristici latitanti da tempo, e con troppa benevolenza ospitati all'estero, quasi si trattasse di esuli politici.

Mantovano - Bisogna, insomma, continuare a studiare e approfondire con pazienza e costanza la geografia di quell'arcipelago che comprende le Brigate Rosse, gli ambienti anarco-insurrezionalisti, l'antagonismo militante e tante altre realtà; così si eviterà il rischio di scambiarlo per un continente perfettamente coeso e continuo. Il "rumore di fondo" dei media ha un effetto di appiattimento e di omogeneizzazione che deve essere contrastato, per poter distinguere e conoscere nel modo migliore le diverse realtà.
Per fare solo un accenno a queste differenziazioni possiamo osservare che le BR, adesso come 25 anni fa, hanno come riferimento ideologico il marxismo leninismo in versione arcaica; non hanno collegamenti stabili e organici, ideologicamente solidali, sul piano internazionale, ma al più una rete di connivenze; sono fortemente chiuse verso l'esterno, anche per evitare infiltrazioni: non è un caso che gran parte degli attuali militanti sono entrati da tempo nell'organizzazione che conterebbe poche decine di persone; per le stesse ragioni selezionano gli obiettivi da colpire che scaglionano nel tempo per non scoprirsi. Le BR inoltre non usano esplosivi e scelgono gli obiettivi in un'area circoscritta: prevalentemente in quella di chi è impegnato nella modifica dei meccanismi del mercato del lavoro e nella quale godono di poche ma qualificate complicità di soggetti ben inseriti, in grado di elaborare valutazioni tecniche sofisticate, delle quali vi è ampio riscontro nei documenti di rivendicazione, dai quali si evince anche che la ricerca di una maggiore flessibilità nel mondo del lavoro viene vista come il nuovo strumento di oppressione del capitale sulla classe operaia.
Per quanto riguarda invece gli anarchici insurrezionali si può dire che non hanno un preciso e definito riferimento ideologico, richiamandosi invece ad un generico ribellismo, al cui interno si colloca un mondo frammentato, che spazia dall'ecologismo hard all'antimilitarismo, fino all'anticlericalismo altrettanto hard (si vedano per esempio gli attentati al Duomo di Milano e a S. Ambrogio nel 2000); esistono però dei collegamenti internazionali, come ha rivelato la vicenda di Genova nell'estate 2001 e non vi sono preclusioni ad ingressi dall'esterno; qualcuno di questa area spera probabilmente di essere preso in considerazione dalle BR e probabilmente resterà deluso…
Si tratta di realtà che hanno obiettivi diversificati, dal Viminale alle chiese, dalle società per il lavoro interinale alle sedi sindacali ed usano gli esplosivi, compresi i pacchi-bomba e le lettere esplosive.
In sostanza, se vi è una profonda distanza fra BR e anarchico insurrezionali, ancora maggiore è quella fra BR e movimenti antagonisti; si potrebbe infine individuare una "zona grigia" fra anarchico insurrezionali e "no global" facendo riferimento per esempio ai "black block" e alla Brigata XX luglio.

Da sempre un più efficace coordinamento è ritenuto il condivisibile strumento per ottimizzare i risultati dell'azione di contrasto. Questo può realizzarsi a diversi livelli: informativo, investigativo, tra gli uffici giudiziari, nelle competenti sedi tecnico-politiche. Dal vostro punto di osservazione, ritenete veramente strategica l'azione di coordinamento e quali ostacoli vi sembrano da rimuovere per un reale salto di qualità?

Manganelli - Il coordinamento rappresenta lo strumento migliore per rendere più efficace l·azione di contrasto al terrorismo, evitando dispersioni di risorse e mettendo a fattor comune ipotesi investigative, notizie e risultati acquisiti nel corso dell·indagine.
È però necessario che il coordinamento si realizzi ad ogni livello, da quello informativo a quello investigativo, a quello giudiziario, superando pregiudizi di settore, gelosie di mestiere e spinte competitive, alla lunga sicuramente pericolose.
Anche di fronte al risorgente terrorismo interno ed alla straordinaria virulenza del terrorismo internazionale, è prepotentemente emersa l·esigenza del raccordo delle iniziative di indagine, della comune elaborazione dei risultati, di un unitario progetto strategico-operativo.
Concrete attività di coordinamento sono in atto tra gruppi investigativi delle diverse forze di polizia impegnati nelle più complesse indagini sui fatti di terrorismo degli ultimi anni, in linea con gli indirizzi emersi nei più alti fori istituzionali.
In proposito, va evidenziato che il Comitato Nazionale per l·Ordine e la Sicurezza Pubblica ha opportunamente deliberato nel giugno dello scorso anno l·istituzione di un apposito ·Gruppo per lo scambio di informazioni sul terrorismo presso la Direzione Centrale Polizia di Prevenzione, con la partecipazione, oltre che della Polizia di Stato, anche dell·Arma, della Guardia di Finanza, del SISDe, del SISMi, del CESIS e dell·Amministrazione Penitenziaria.
D·altra parte, se unitario è il progetto eversivo perseguito da ciascuna organizzazione terroristica, nazionale od internazionale, unitaria deve essere · e perciò frutto di un rigoroso coordinamento delle diverse risorse in campo · l·azione di contrasto.

Papalia - Un·azione di contrasto ben organizzata con un oculato coordinamento di tutte le risorse disponibili è sicuramente più idonea ad assicurare interventi tempestivi sia in fase di prevenzione che in fase di ricerca della notitia criminis e di investigazione.
Il coordinamento è di fondamentale importanza nella fase informativa e deve essere mirato al miglior sfruttamento di tutte le fonti, appositamente ed intelligentemente individuate nelle aree più sensibili, mediante una comparazione e immediata integrazione di tutti i segnali dalle varie parti provenienti.
Altrettanto importante è il coordinamento dell·attività investigativa sia a livello di polizia giudiziaria che a livello di attività giudiziaria vera e propria.
Sotto il primo profilo deve essere sicuramente mantenuta e, anzi, potenziata l·attività dei reparti specializzati di polizia e carabinieri (Digos e Ros), ma va anche diffuso il più possibile tra tutte le forze di polizia territoriali il bagaglio di conoscenze che tali reparti accumulano per porlo a confronto e, eventualmente, anche alimentarlo con le altre esperienze che vengono fatte da chi agisce quotidianamente su quel determinato territorio ed è più adatto a cogliere segnali interessanti a fini investigativi.
A livello giudiziario non c·è dubbio che il più stretto collegamento e la più accurata specializzazione dei magistrati inquirenti, come l·esperienza ha dimostrato, costituisce un presupposto indispensabile per fronteggiare efficacemente la strategia delittuosa dei gruppi terroristici.
A seguito delle esperienze maturate nei primi anni 80 e dei grandi risultati ottenuti anche grazie al coordinamento spontaneamente realizzato tra tutti i magistrati che si occupavano di processi per fatti di terrorismo, il Legislatore ha dettato una disciplina particolareggiata (v., in particolare, gli articoli 371 c.p.p. e 118-bis disp. att. c.p.p.) che, pur potendo essere ancora migliorata, può essere considerata abbastanza soddisfacente e sicuramente idonea ad evitare, se bene applicata, inerzie, iniziative di opposto indirizzo e interferenze negative. Su questa strada bisogna proseguire e la legge 15 dicembre 2001 nr. 438, che ha assegnato alla procura sede di capoluogo di distretto la competenza funzionale esclusiva per i reati di terrorismo, ha sicuramente reso più efficace e snella l·attività di coordinamento.

Grevi - In effetti, nel caso di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, soprattutto quando si tratti di criminalità destinata ad operare sull·intero territorio nazionale (se non addirittura anche fuori dai confini dello Stato), come accade non solo per i reati tipici della delinquenza mafiosa, ma altresì per i reati di natura terroristica, o comunque aggravati dalla finalità di terrorismo, l·esigenza del coordinamento informativo ed investigativo tra gli organi giudiziari inquirenti appare sempre più manifesta, in quanto premessa per un accettabile grado di efficienza dell·attività di contrasto delle forze di polizia e della magistratura contro simili fenomeni criminosi.
Questa esigenza, com·è noto, è stata soddisfatta in maniera adeguata fin dall·inizio degli anni novanta (d.l. 20 novembre 1991, n. 367, convertito dalla l. 20 gennaio 1992, n. 8), per quanto riguarda i delitti di stampo mafioso, attraverso l·istituzione della Direzione Nazionale Antimafia e delle correlative Direzioni distrettuali, nonché attraverso i necessari adattamenti del codice di procedura penale (a partire dall·art. 51 comma 3-bis); mentre, fino a due anni fa, nulla del genere era stato fatto con riguardo ai reati terroristici. E ciò non ostante che già durante la fase più aspra della lotta contro il terrorismo, alla fine degli anni settanta, un·esigenza del genere fosse stata così intensamente avvertita da indurre i magistrati allora inquirenti (pubblici ministeri e giudici istruttori) a riunirsi spontaneamente per favorire il coordinamento delle rispettive indagini, tra l·altro dovendo superare non lievi problemi interpretativi rispetto ad una disciplina codicistica che non prevedeva nulla del genere.

Mantovano - È importante distinguere, in termini di coordinamento, il filone delle strutture investigative da quello del processo penale. La struttura anticrimine messa a punto a suo tempo dall·Arma dei Carabinieri, caratterizzata da personale qualificato e da un coordinamento a livello nazionale, si dimostrò uno strumento pienamente efficace nel contrasto al terrorismo. Su questo modello furono create realtà consimili da parte di tutte le Forze di Polizia. Tuttavia, le emergenze legate alla criminalità organizzata, culminate con le stragi nelle quali hanno trovato la morte i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed una politically correctness imposta da forze culturalmente egemoni, condizionarono una meno vigile attenzione al terrorismo di matrice socialcomunista, e contribuirono a far disperdere professionalità. Il crepuscolo della lotta al terrorismo ha conosciuto una tappa significativa con i cosiddetti decreti Napolitano del 1998, che sancivano in modo formale la sottrazione di competenze operative alle strutture investigative centrali, dal che derivava il loro sostanziale smantellamento; con una operazione di mero maquillage, quei decreti sono stati parzialmente modificati due anni dopo, quando le ricadute negative erano divenute ormai irreversibili. Il recupero del terreno perduto richiederà anni per accumulare nuova esperienza: e questi anni saranno inevitabilmente caratterizzati da errori.

Grevi - Appare, quindi, sorprendente che, una volta superato il periodo più nefasto dell·aggressione terrorista, la già ricordata prospettiva volta al coordinamento delle indagini sia stata lasciata cadere, fino all·intervento legislativo conseguente al terribile attentato del settembre 2001 contro le Torri gemelle di New York (d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito dalla l. 15 dicembre 2001, n. 438). Dove, peraltro, ci si è limitati, per quel che qui importa, a stabilire la concentrazione distrettuale delle indagini per i reati di terrorismo (interno e internazionale), attribuendoli alle procure presso i tribunali delle città capoluogo dei 26 distretti di corte d·appello. Nulla, invece, è stato aggiunto per quanto concerne l·eventualità di un coordinamento delle relative indagini, oggi ancora rimesso, con i noti limiti della relativa disciplina, agli ordinari meccanismi facenti leva, come per i più gravi reati della criminalità comune, sull·iniziativa dei procuratori generali di ogni distretto (art. 118-bis, disp. att. c.p.p.).
Ma tutto ciò, evidentemente, non basta di fronte ad un fenomeno criminoso complesso, qual è stato, e qual è tuttora, il fenomeno della criminalità terroristica, con tutte le sue presumibili ramificazioni nelle zone più diverse del Paese, magari attraverso modulazioni cellulari organizzate per ·compartimenti stagni·, ed articolate tra loro attraverso canali di collegamento ignoti alla maggioranza degli stessi affiliati. Dunque un fenomeno criminoso probabilmente diffuso a · geometria variabile, ma altrettanto probabilmente guidato da programmi unitari e non occasionali, anzi previamente stabiliti da qualche occulto centro di regia: come tale bisognoso, pertanto, di un·analisi (e di una conseguente strategia investigativa) centralizzata e di ampio respiro, senza dubbio non riducibile ai limitati orizzonti del distretto di questa o quella procura generale di corte d·appello.

Mantovano - La radicale trasformazione del processo penale del 1988 ha certamente costituito un trauma. Quella riforma ha portato i pubblici ministeri a sostituirsi, senza avere sempre la necessaria preparazione, agli investigatori e questi, sostanzialmente deresponsabilizzati, a perdere la propria specifica professionalità. La nuova disciplina ha implicato un aumento della durata dei processi. L·incremento in termini di strutture logistiche e risorse di personale che doveva richiedere non era realizzabile, e lo si sapeva. Questo ha comportato anche l·elusione di fatto dell·obbligatorietà dell·azione penale, indirizzando enormi risorse verso filoni di indagine scelti con criteri non sempre trasparenti, e con esiti talora sproporzionati agli sforzi. L·applicazione delle nuove norme ha causato squilibri fra magistratura e polizia giudiziaria, con danni per entrambe, creando commistioni poco favorevoli alla tutela della riservatezza: lo dimostrano le ricorrenti fughe di notizie, fra le quali cito solo quella, gravissima, riguardante le indagini sull·omicidio D·Antona.
Il ·coordinamento·, di cui tanto si parla, rischia di trasformarsi in uno slogan privo di reale significato. Un·efficace azione di contrasto impone l·analisi attenta di tutte le procedure operative, e in primo luogo dei flussi informativi. Il primo ostacolo che oggi incontriamo è dovuto al lungo periodo di ·vita carsica· che il terrorismo ha vissuto per circa un decennio: anche se non sono mancati eventi gravi, in quella fase l·attenzione dei media è stata assorbita da altre realtà criminose; e così pure quella delle forze di polizia, che hanno concentrato altrove le loro energie. Per questo l·omicidio D·Antona è stato l·occasione per un tragico e brusco ritorno alla realtà.
Non sempre le procedure di information-sharing sono state ottimali; sotto quest·ultimo profilo, le soluzioni sono di vario tipo: si parla da tempo di individuare un coordinamento delle indagini da parte di una struttura giudiziaria, in analogia con la Direzione Nazionale Antimafia, e non necessariamente separata da questa. Il primo passo da fare è però quello di aiutare le strutture di polizia e di intelligence ad operare con standard aggiornati ed efficienti, sia in termini normativi che in termini di procedure e di strumentazioni tecniche. Dal punto di vista normativo sono stati già emanati il decreto legge del 12 ottobre 2001 n. 369 per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale e il decreto legge 18 ottobre 2001 n. 374 per utilizzare nuovi strumenti nel contrasto al terrorismo internazionale, mentre è in itinere la riforma della legge 801 del 1977. Per quanto riguarda l·aspetto tecnico, credo che sia importante rafforzare le strutture di gestione informativa con architettura a prevalenza reticolare e non gerarchica; il nostro articolato e raffinato sistema istituzionale può dare i migliori risultati nel campo della sicurezza non con una centralizzazione forzata e innaturale, ma con un·armonizzazione e un adeguato decentramento delle risorse e delle conoscenze.

Dopo i fatti di Arezzo, grande vivacità ha caratterizzato il dibattito, anche sui media, circa l·opportunità di mutuare l·esperienza della Direzione Nazionale Antimafia anche nel campo della lotta al terrorismo. Sono state espresse in proposito diverse posizioni, con considerazioni sia nel merito che sugli aspetti normativi attinenti al funzionamento degli uffici giudiziari. Alcune proposte di legge sono state presentate in Parlamento, volte all·introduzione di modifiche al codice di procedura penale e all·ordinamento giudiziario. Qual è la vostra opinione in merito?

Grevi - Proprio i gravi fatti di sangue verificatisi nello scorso marzo sulla linea ferroviaria Roma-Firenze, emblematici non solo quale ennesimo episodio di violenza terroristica, ma anche come elemento di conferma dell·esistenza di strutture eversive tuttora operanti ad ampio raggio sul territorio nazionale, hanno sollevato un problema di grande rilevanza, non potendosi ovviamente escludere (anzi, stando alle ultime notizie, essendo assai probabile) una correlazione di tale episodio, sul quale sta indagando la procura della Repubblica di Firenze, con gli altri più recenti attentati di marca brigatista. Mi riferisco, in particolare, all·omicidio D·Antona (Roma, 1999) ed all·omicidio Biagi (Bologna, 2002), per i quali stanno ovviamente procedendo le procure della Repubblica territorialmente competenti, senza però che nessuno specifico meccanismo di coordinamento possa operare tra le relative indagini, a parte eventualmente i già ricordati strumenti ordinari affidati all·impulso delle corrispondenti procure generali.
Tanto è vero che, in questo quadro, si è arrivati addirittura alla denuncia di una situazione di ·contrasto positivo· tra le tre suddette procure (impegnate a procedere per fatti obiettivamente diversi, ancorché tra loro collegati), risolvendo il quale, ai sensi dell·art. 54-bis comma 2° c.p.p., lo stesso procuratore generale presso la Corte di cassazione (Proc. gen. Cass., decreto 10 aprile 2003, proc. Rep. Bologna e Firenze in c. Lioce) non ha mancato di formulare una notazione piuttosto interessante. Se da un lato, infatti, tale decreto ha ribadito la comune giurisprudenza in ordine al principio della legittimazione a procedere ripartita, secondo le norme della competenza territoriale, tra i menzionati uffici del pubblico ministero, dall·altro il medesimo decreto ha nel contempo rilevato una certa carenza dell·odierna disciplina sul punto, sottolineando testualmente che ·il difetto delle condizioni di applicabilità della normativa sulla competenza per connessione· (trattandosi, nella specie, di indagini preliminari ·ancora in evoluzione, dopo il recente arresto della Lioce·), ·non può soddisfare pienamente l·esigenza di ·speditezza, economia ed efficacia· delle indagini, anche particolarmente complesse, quali quelle riguardanti la criminalità organizzata·.
Anche alla luce di questa recente esperienza, e del rischio derivante dai possibili difetti di coordinamento destinati ad incidere (senza colpa di nessuno, poiché le norme vigenti sono quelle che sono) su tre filoni di indagini che senza dubbio presentano diversi elementi in comune, pur non ricorrendo i presupposti della competenza per connessione, sembra ormai giunto il momento per procedere sul piano legislativo all·individuazione di un organo centralizzato, su cui concentrare i vari problemi derivanti dal collegamento tra tutte le indagini relative a delitti di natura terroristica o eversiva. Sia chiaro che con ciò non si vuol proporre, sebbene in passato talora se ne sia parlato, la creazione di una sorta di ·Procura nazionale antiterrorismo·, da intendersi quale unico ufficio titolare delle funzioni di indagine per i suddetti delitti sull·intero territorio nazionale. Basterebbe, molto più semplicemente, la previsione di una struttura cui attribuire una effettiva funzione di coordinamento nei rapporti tra le corrispondenti indagini, che rimarrebbero affidate alle procure della Repubblica distrettuali, secondo uno schema analogo a quello già sperimentato con la Direzione Nazionale Antimafia, in rapporto alle indagini per i delitti di stampo mafioso. Anzi, a questo proposito, sono molte le ragioni (anzitutto di rilievo istituzionale, ma anche di natura economica, dovendosi altresì tener conto dell·esigenza di non disperdere risorse e specializzazioni già maturate sul fronte del contrasto contro la criminalità di stampo mafioso), che militano, almeno nel breve periodo, per l·attribuzione alla stessa Direzione Nazionale Antimafia anche del compito del coordinamento delle indagini concernenti i delitti riconducibili al fenomeno terroristico.
Naturalmente si potrebbe (anzi, si dovrebbe) pensare ad una diversificazione, all·interno dell·unica struttura oggi esistente, degli organi e delle responsabilità funzionali dei magistrati cui fossero assegnati i nuovi compiti di coordinamento sul fronte del contrasto alla criminalità terroristica, sempre sotto la diretta supervisione del Procuratore Nazionale Antimafia. Ma questi sono dettagli agevolmente superabili sul terreno normativo ed organizzativo, attraverso modesti ritocchi al codice di procedura penale ed ai testi di ordinamento giudiziario. Del resto, com·è noto, le proposte di legge in tal senso non mancano, e soprattutto si combinano con la già dichiarata disponibilità degli attuali vertici della Direzione Nazionale Antimafia (a cominciare dal procuratore nazionale dott. Piero Luigi Vigna) a favorire una soluzione del genere. Una soluzione che, nell·attuale quadro politico e legislativo, appare quella preferibile sia per la sua linearità, sia per la sua idoneità ad innestarsi senza traumi sul tronco di un organismo già in funzione da anni, e con ottimi risultati. Ma anche, per altro verso, una soluzione che, se contenuta nei limiti precisati, non dovrebbe suscitare quelle diffidenze e quelle resistenze che quasi sempre accompagnano, e spesso non a torto, le proposte di istituzione di strutture giudiziarie specializzate e centralizzate, come tali in qualche modo alternative rispetto agli ordinari uffici giudiziari.

Manganelli - Il prof. Grevi ha in effetti colto uno dei punti essenziali della discussione in materia di coordinamento, cioè la valutazione circa l·opportunità di creare una speciale struttura giudiziaria antiterrorismo, sul modello dell·esistente Direzione Nazionale Antimafia, ovvero, in alternativa, ampliare le competenze di detta struttura al terrorismo.
Una duplice, comune esigenza ispira tali proposte: da una parte, conferire maggiore razionalità ed uniformità giuridico-processuale alle diverse inchieste su fatti di terrorismo obiettivamente tra loro connessi, dall·altra, rendere più efficienti l·azione informativa ed investigativa.
Il problema è stato affrontato dal Legislatore, che ha conferito alle Procure distrettuali presso le Corti d·Appello il potere di indagine sul terrorismo, così ponendo un argine alla frammentazione delle investigazioni, nella consapevolezza che il terrorismo, così come la criminalità organizzata, opera con una strategia complessa, da individuare, analizzare e, conseguentemente, contrastare con un organismo centralizzato.
Oggi non esiste però un coordinamento interdistrettuale, sulla cui necessità confesso di non avere maturato ancora un·opinione personale.
Certo è che le forze di polizia devono essere intelligentemente e puntualmente coordinate dalla magistratura, in vista della composizione, tassello dopo tassello, del complesso mosaico di un·inchiesta. Certo è che il coordinamento non deve mai comprimere la ·creatività·, la fantasia, l·iniziativa di buon senso e quella frutto dell·esperienza e del sapere pregiato degli investigatori, doti che costituiscono la vera forza delle singole strutture della polizia giudiziaria. Certo è che il coordinamento deve mirare ad evitare sovrapposizioni e/o vuoti operativi e a porre i risultati a fattor comune.
Questi obiettivi sono chiari, semplici e ambiziosi al tempo stesso, e sono certamente la meta cui bisogna tendere.

Mantovano - È importante, credo, evitare di squilibrare il quadro normativo, soprattutto se gli interventi finiscono per coincidere con le famigerate ·grida· manzoniane. La tentazione di ricorrere ad una legislazione di emergenza è sempre forte: si tratta di una soluzione con un positivo effetto psicologico sulla comunità, in cui si istilla la sensazione che le istituzioni si stiano impegnando seriamente a difenderla. È più opportuno orientarsi ad una applicazione più efficace del corpus normativo vigente, riservando al Legislatore gli aggiustamenti assolutamente indispensabili, nel rispetto dei principi generali dell·ordinamento giuridico-costituzionale.
A proposito del coordinamento delle indagini sul terrorismo, personalmente credo che sarebbe fruttuoso utilizzare l·esperienza della Direzione Nazionale Antimafia. Non si tratta di trasferire la competenza sulla materia ad una struttura diversa da quelle già esistenti, ma di evitare che il raccordo fra le indagini, svolte a livello distrettuale, sia gestito con la procedura dei conflitti di competenza fra uffici giudiziari. Per svolgere questa funzione potrebbe addirittura essere sufficiente un·estensione di competenza della DNA, senza ulteriori complicazioni organizzative.

Papalia - L·attuale disciplina sul coordinamento delle indagini tra le varie procure interessate, che pure può essere migliorata, va, a mio avviso, mantenuta nelle sue linee essenziali.
Non credo però sia necessaria la creazione di una struttura centralizzata ad hoc a livello giudiziario con finalità esclusive di coordinamento. Per completare la disciplina oggi esistente, sarebbe sufficiente la previsione di una banca dati centralizzata e collocata nella procura generale presso la corte di cassazione sotto la diretta cura e responsabilità di un magistrato.
In ogni caso, comunque, personalmente non ritengo utile ma, anzi, dannoso un ampliamento dei poteri della Direzione Nazionale Antimafia, oggi esistente, concentrando in quella sede anche i poteri di coordinamento ed impulso per tutti i reati di terrorismo.
La mafia e il terrorismo sono due forme di criminalità completamente diverse sia per quanto riguarda le finalità perseguite, sia per quanto riguarda le modalità di esecuzione dei fatti delittuosi programmati.
Sotto il primo profilo e in estrema sintesi, infatti, mentre il terrorismo brigatista si propone ·l·attacco al cuore dello Stato ed alle politiche centrali dell·imperialismo·, la mafia si propone l·arricchimento, anche mediante ·infiltrazione· nella struttura dello Stato, per controllare le attività economiche, di appalto, ecc. L·uno è in netta e dichiarata alternativa allo Stato, l·altra cerca in tutti i modi di camuffare le proprie finalità per sfruttare al meglio le opportunità di arricchimento e controllare, se non addirittura occupare, anche ·pezzi di Stato·.
Sotto il secondo profilo va rilevato anche che, mentre i terroristi brigatisti ·parlano· e ·rivendicano· i fatti delittuosi da loro commessi indicando i motivi della scelta di quel bersaglio, i mafiosi non ·parlano·, non ·rivendicano· e, anzi, cercano di non far mai apparire i veri scopi dell·organizzazione per non rendere vano o, quanto meno, più difficile il loro raggiungimento.
È perciò evidente, a mio avviso, che l·azione di contrasto nei confronti delle due diverse strategie delittuose deve essere diversa e richiede una diversa specializzazione ed esperienza sia per quanto riguarda la metodologia d·indagine, sia per quanto riguarda i luoghi dove l·indagine stessa si deve svolgere con possibilità di successo.
Né può sostenersi che vi sono contatti tra terrorismo e mafia.
Il terrorismo brigatista oggi presente in Italia è erede diretto di quelle BR p.c.c. (c.d. area militarista) che si sono attivamente opposte alla strategia di Senzani (c.d. area movimentista) proprio perché non condividevano il collegamento con la camorra che si era realizzato durante la gestione del sequestro Cirillo. Il terrorismo brigatista rifiuta apertamente qualsiasi collegamento o, comunque, qualsiasi contatto con la mafia, sia perché tale organizzazione viene considerata nemica del p.m. (proletariato metropolitano), sia perché ha fondati timori che attraverso tali contatti sia più facilmente permeabile da parte delle forze di polizia la loro struttura.
Non mi pare, quindi, praticabile l·ipotesi di un ampliamento dei poteri della Direzione Nazionale Antimafia. Se dovesse prevalere l·idea di una struttura di coordinamento centralizzata, sarebbe preferibile creare una struttura nuova.

La questione del coordinamento investe anche un ambito più ampio, nel contesto dell'Unione Europea, soprattutto, anche se non solamente, per quanto riguarda il terrorismo internazionale. L'adozione della decisione quadro del Consiglio in materia di lotta al terrorismo, il 13 giugno 2002, che pone questioni di adeguamento della normativa dei diversi paesi, ed il funzionamento di Europol ed Eurojust, soprattutto in una prospettiva di medio periodo, sono snodi essenziali di una proiezione a livello dell'Unione dei problemi legati ad un efficace coordinamento. Il dopo undici settembre ha d'altro canto visto la creazione di ulteriori sedi di coordinamento nell'ambito dell'Unione, sia a livello intelligence che nel campo del law enforcement. Quali politiche e azioni concrete vedete possibili per un'azione di contrasto al terrorismo coordinata a livello europeo?

Manganelli - Gli attacchi dell'11 settembre 2001 hanno cambiato in maniera radicale la percezione a livello internazionale del pericolo del terrorismo. La gravità dei fatti e la loro imprevedibilità hanno messo in luce l'insufficienza delle forme tradizionali di collaborazione giudiziaria e di polizia, nonché la necessità di una più stretta ed efficace cooperazione operativa - a livello internazionale ed europeo - fra le competenti autorità nazionali di polizia e di intelligence.
Il Consiglio Europeo ha dichiarato che il terrorismo rappresenta una vera sfida per il mondo e per l'Europa ed il suo contrasto costituirà un obiettivo prioritario per l'Unione Europea.
È stato pertanto adottato un piano d'azione volto a rafforzare la cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni, a sviluppare strumenti giuridici internazionali, a porre fine al finanziamento del terrorismo, a rafforzare la sicurezza aerea e a coordinare l'azione globale dell'Unione. Il Consiglio Europeo ha inoltre dato mandato al Consiglio "Affari generali" di svolgere un ruolo di coordinamento e di impulso in materia di lotta contro il terrorismo, prevedendo inoltre che la politica estera e di sicurezza comune avrebbe dovuto confrontarsi con maggiore attenzione e più frequentemente con gli aspetti relativi alla lotta al terrorismo. I progressi in questo ambito sono costantemente "monitorati" con una roadmap.
Un momento importante nell'attuazione del Piano d'azione deciso dal Consiglio straordinario di Bruxelles è stata l'adozione di una definizione comune di reato terroristico e di organizzazione terroristica. Una comune visione del fenomeno - ancorata ad elementi oggettivi - obbliga gli Stati a valutazioni uniformi e omogenee in questo ambito e ad adottare le misure preventive e repressive che hanno come termini di riferimento i concetti di organizzazione e atto terroristico. Anche l'impegno di Europol in questa area è stato potenziato. Allo sviluppo della cooperazione di polizia attraverso la raccolta, la conservazione, l'elaborazione e lo scambio di informazioni, comprese quelle inerenti le operazioni finanziarie sospette, si è aggiunta la costituzione di squadre investigative specializzate nell'antiterrorismo, integrate da esperti nazionali del settore.
In seno ad Europol è stata inoltre costituita una "Task Force", con lo specifico intento di neutralizzare le reti terroristiche soprattutto di matrice integralista islamica. L'attività di questo organismo, composto anche da esperti provenienti dagli Stati membri, ha contribuito in maniera sostanziale ad un maggiore coordinamento operativo fra gli Stati membri.
Altro strumento di recente previsione è l'istituzione di Eurojust, già previsto dal Consiglio Europeo di Tampere: si tratta di un organo composto da rappresentanti appartenenti all'ordinamento giudiziario distaccati dagli Stati membri, il cui scopo essenziale è di migliorare il coordinamento, tra le autorità nazionali competenti, nelle indagini, nelle azioni penali e nell'esecuzione delle sentenze relative a forme gravi di criminalità.

Papalia - A livello europeo l'attività di coordinamento va sicuramente favorita al massimo grado, potenziando le strutture di assistenza ed impulso quali, ad esempio, Eurojust di cui parlava il prefetto Manganelli ed accelerando la piena entrata in vigore del mandato di arresto europeo.
La struttura Eurojust, infatti, consente di realizzare in maniera tempestiva ed efficace rogatorie internazionali anche contemporaneamente in più Stati con la possibilità di istituire una "squadra investigativa comune" tra magistrati e poliziotti di più paesi interessati alla stessa indagine e si pone sulla giusta via per superare le barriere tra i vari Stati europei che oggi esistono solo per le indagini giudiziarie.
In particolare, per quanto riguarda il terrorismo brigatista, è molto importante la più sollecita entrata in vigore del mandato di arresto europeo e la stipula, nell'attesa, di accordi per la consegna non estradizionale, del tipo di quello concluso con la Spagna a Roma il 28 novembre 2000, trovandosi ancora molti soggetti, ricercati per condanne definitive per reati di terrorismo, rifugiati in vari paesi europei.

Grevi - Non c'è dubbio che l'esigenza di un effettivo coordinamento delle indagini in corso, sul territorio nazionale, per fatti terroristici, si allarghi anche al di là dei nostri confini, anzitutto nell'area dell'Unione Europea (ma anche oltre, se si pensa alle dimensioni del terrorismo internazionale), imponendo quindi l'adozione delle necessarie strategie di cooperazione tra i diversi Stati, allo scopo di assicurare che l'obiettivo legato a tale esigenza venga conseguito altresì nei rapporti tra le rispettive autorità giudiziarie inquirenti. Per quanto riguarda in particolare l'ambito europeo, la base di partenza è certamente fornita dalla decisione-quadro adottata dal Consiglio dell'Unione Europea in materia di lotta al terrorismo (Lussemburgo, 13 giugno 2002), all'interno della quale ex art. 9 non solo si sancisce il principio della collaborazione interstatuale ai fini della repressione dei delitti di terrorismo rientranti nella giurisdizione di più Stati membri dell'Unione, ma, prima ancora, si postula l'impegno dei medesimi Stati ad avvalersi di "qualsiasi organo o struttura istituiti in seno all'Unione Europea per agevolare la cooperazione tra le rispettive autorità giudiziarie", nonché per "coordinare le loro azioni".
È questa, evidentemente, se pur ce ne fosse bisogno, un'ulteriore fonte di vincolo per gli Stati europei ad assicurare un efficace coordinamento delle indagini, relative a reati terroristici, in corso di svolgimento da parte delle rispettive autorità giudiziarie. Ed anzi è prevedibile che proprio di qui possa nascere una nuova spinta per il rafforzamento degli organismi e delle strutture che, sia a livello di indagini di polizia (Europol), sia a livello di attività giudiziaria (Eurojust), già operano in tale prospettiva, con esplicito riferimento a diverse tipologie di criminalità organizzata, anche di natura terroristica.
Più in particolare, a tale proposito, si deve tener presente che, secondo quanto risulta dalla decisione del Consiglio dell'Unione Europea istitutiva di Eurojust "per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità" (Bruxelles, 28 febbraio 2002), quest'ultima struttura è destinata a svolgere in primo luogo proprio una specifica funzione di coordinamento delle indagini e delle altre iniziative penali tra le autorità giudiziarie degli Stati dell'Unione, soprattutto in materia di criminalità organizzata, ivi espressamente compresa quella di natura terroristica (così come è stato ribadito, da ultimo, anche dall'art. III-169 del recente progetto di Costituzione europea). D'altra parte, se si considera che il modello italiano della Direzione Nazionale Antimafia ha fornito il paradigma su cui è stata disegnata la struttura di Eurojust (la quale, in sostanza, è destinata a svolgere su scala europea, rispetto alle indagini già intraprese, o da intraprendersi, ad opera delle competenti autorità giudiziarie degli Stati membri, funzioni di impulso e di coordinamento analoghe a quelle svolte sul territorio italiano dalla Direzione Nazionale Antimafia rispetto alle iniziative giudiziarie delle varie procure distrettuali), suscita davvero meraviglia, a conferma di quanto detto in precedenza, che, nel nostro Paese, manchi tuttora un organismo centralizzato di coordinamento delle indagini aventi ad oggetto delitti di terrorismo.
Tuttavia sarebbe ancora più sorprendente se, dovendosi colmare tale lacuna (sia per assicurare maggiore efficienza alla risposta dello Stato contro una criminalità terroristica sempre in agguato, sia per ovvie esigenze di simmetria con i corrispondenti organismi europei), si continuasse a prendere tempo, cioè a non fare nulla, probabilmente dubitando dell'idoneità allo scopo della Direzione Nazionale Antimafia.
Eppure la verità è che, nell'attuale quadro politico e normativo, dubbi non possono esservene, in quanto la suddetta Direzione Nazionale (ovviamente con gli adeguamenti e le modifiche strutturali richiesti dall'attribuzione dei nuovi compiti) costituisce oggi, realisticamente, l'unica scelta possibile per affrontare in concreto il problema. È questo, d'altronde, un problema che va risolto, e con tempestività, poiché l'esigenza del coordinamento delle indagini sui delitti di natura terroristica esiste in termini obiettivi, per cui sarebbe molto grave se si procrastinasse ulteriormente la sua soluzione. Ed ancora più grave sarebbe se, per superare l'impasse (ma esiste davvero un'impasse, o si tratta soltanto di disattenzione?), ci si orientasse ad attribuire i suddetti compiti di coordinamento ad un organismo di stampo politico-amministrativo, o comunque non dotato di quelle necessarie prerogative di autonomia e di indipendenza che sono proprie, invece, pur nella peculiarità della sua fisionomia, della Direzione Nazionale Antimafia.

Mantovano - La strada più proficua per ottenere risultati significativi, anche nel medio periodo, è proprio quella di incentivare gli scambi e i contatti. Le linee principali che possono favorire questo indirizzo sono quelle della convergenza dei sistemi penali e dello sviluppo dei collegamenti fra le forze di polizia, con momenti di formazione comune e di condivisione delle cosiddette best practices. A questo proposito, sono già in atto numerose iniziative che dovrebbero costituire la base di una "cultura" della sicurezza comune a livello europeo.
La promozione di istituzioni autonome a livello europeo in relazione alla lotta alla criminalità richiede invece attenzione e ponderazione, ed implica quindi tempi più lunghi; prima di avere poliziotti e giudici europei sarà necessario che si creino sistemi costituzionali e penali, sia sostanziali che processuali, pienamente compatibili. Senza questa pre-condizione ogni passo sarebbe velleitario e creerebbe difficoltà piuttosto che vantaggi.
Un primo passo pratico potrebbe essere lo smantellamento di quelle "zone franche" che si sono create in taluni paesi a favore di esponenti di pericolose e conclamate organizzazioni terroristiche. In nessun paese dell'Europa che sta nascendo deve esservi più spazio per "colture in vitro" di cellule sovversive. A partire da questo presupposto si potrà costruire una cooperazione sempre più fruttuosa ed efficace per la sicurezza dell'intera regione.

Manganelli - Il Ministero dell'Interno intende sfruttare particolarmente l'opportunità della Presidenza dell'Unione Europea proprio per un approfondimento delle problematiche connesse alla lotta al terrorismo e sostenere con intensità l'impegno dell'Unione Europea in questa area.
Nel quadro degli obiettivi fissati dal Piano d'azione, adottato dal Consiglio Europeo all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, saranno proseguite le attività intraprese per contrastare le organizzazioni terroristiche internazionali, soprattutto di matrice integralista e religiosa, e saranno approfondite le problematiche relative agli strumenti per l'individuazione delle fonti di finanziamento delle organizzazioni stesse.
Saranno inoltre realizzati alcuni progetti operativi, alla definizione dei quali sarà chiamato a collaborare anche Europol. Questi progetti saranno finalizzati a rendere più efficace la cooperazione di polizia in ambito comunitario, attraverso un più calibrato e mirato impiego delle Squadre Investigative Comuni, che svolgeranno soprattutto un'attività di intelligence.
In proposito, l'Italia intende impegnarsi anche per l'elaborazione di un "codice di condotta" in grado di fornire utili orientamenti operativi ai componenti delle stesse.
Il futuro scenario europeo, integrato dalla presenza degli Stati candidati, richiede ulteriori iniziative finalizzate ad una maggiore conoscenza della struttura e delle potenzialità dei collaterali organismi di polizia di questi Paesi, e la necessità di sempre più approfonditi contatti. L'obiettivo è il pieno conseguimento da parte di questi Paesi di un'adeguata conoscenza degli strumenti di cooperazione "operativa" europea in questo delicato settore. L'Italia s'impegnerà concretamente anche su questo fronte.



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